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Attualità
12 Febbraio 2015
Libertà di stampa, l'Italia al 73° posto (e non per colpa dei giornali)

Secondo la classifica annuale dell'RSF (Reporter Senza Frontiere), l'Italia, nel giro di un anno, passa da un già imbarazzante 43° posto ad una tragica 73°a posizione, trovandosi in fondo in Europa (al di sopra solo di Albania e Grecia, situati al 82° e al 91°), e posizionandosi proprio sotto al Senegal (72°), che resta pur sempre un paese democratico, ma di certo non un faro delle libertà di stampa. E' alquanto deprimente vedere in questa posizione uno degli stati fondatori dell'Europa di Charlie Hebdo, terra in cui la libertà di stampa e di espressione è (o almeno dovrebbe essere) sacra e inviolabile. Tuttavia, ciò su cui l'opinione pubblica italiana si dovrebbe soffermare (e rifletterere), è la serie di motivi che hanno portato a questo ulteriore infossamento del Bel Paese nella classifica del RSF: infatti, a differenza di cio che crede una buona parte dell'opinion comune e una certa parte politica, la crisi del giornalismo italiano non è dovuta infatti alla cosiddetta "malainformazione" di cui sono spesso accusati i nostri giornali, né dal controverso rapporto fra giornalismo e politica. Secondo la stessa RSF, il 2014 «è stato un anno difficile per i giornalisti, per cui le minacce da parte della mafia, tra gli altri, e le cause per diffamazione ingiustificate sono molto aumentate», per non parlare del «forte aumento degli attacchi alle loro proprietà, soprattutto alle auto». Andando oltre alla seppur importante questione della criminalità organizzata (che da sempre vede nel libero giornalismo un nemico mortale), credo che questi atti di violenza abbiano almeno in parte un loro fondamento in quella "intolleranza di fondo" di una buona fetta degli italiani, che tende a disprezzare nel profondo coloro che la pensano diversamente, una insofferenza che ai nostri giorni emerge prepotentemente ogni giorno dai social network. Credo anche che una buona fetta di responsabilità tocchi anche ad un certo tipo di politica, per la quale il discredito di giornali e giornalisti "nemici" (attraverso insulti, "liste nere" o cause penali) risulta sempre il metodo migliore per pararsi dalle critiche e mettersi in buona luce davanti ai propri elettori, nella miglior tradizione del (scusate per il francesismo) "paraculismo" italiano.

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L'autore
Paolo Carlo Cereda
Paolo Carlo Cereda

Studente di Scienze Umanistiche per la Comunicazione, sono appassionato di musica, di politica, di social network e di Salvatore Aranzulla. Sogno di cantare, ma sono stonato.

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