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Politica
18 Gennaio 2015
FINANZIAMENTO PUBBLICO AI PARTITI: SÌ O NO?

Quella dei finanziamenti pubblici ai partiti è una storia spinosa, sulla quale è facile ragionare di pancia, presi dalla rabbia. E’ una storia lunga, che parte nel 1974 quando tutte le forze politiche decisero di introdurre una legge per finanziare i partiti con denaro pubblico, per evitare l’ingerenza dei privati e il rischio corruzione. Gli effetti distorti e contrari di quella legge si sono visti con tangentopoli. Quindi nel 1993, scossi dagli scandali, gli italiani scelsero, con referendum, di abolire il versamento pubblico ai partiti. Bene, esultavano tutti, si cambia.

Si è cambiato in meglio? No, la situazione negli ultimi vent’anni è peggiorata. Il finanziamento pubblico ai partiti è stato sostituito formalmente dal rimborso elettorale, ma nella pratica rimane un finanziamento pubblico, legato al risultato elettorale (ma accessibile se si prende anche solo l’1% dei voti!) con la simpatica caratteristica di essere completamente slegato dalle effettive spese sostenute in campagna elettorale. Il risultato sono circa 2,7 miliardi di euro che lo Stato ha elargito ai partiti,  dal più piccolo al più grande,  in vent’anni. Secondo i dati di OpenPolis circa tre volte  le effettive spese sostenute da ciascun partito.  

A questo punto, la pancia di chi legge inizia a ribollire di rabbia verso i partiti. Chiunque sarebbe disposto a sottoscrivere subito una legge per abolire nuovamente il finanziamento pubblico  (che nel 2012 grazie al governo Monti è già stato dimezzato). Però la domanda da porsi è: “Quali sono le alternative?”; “Si migliorerà in meglio o nuovamente in peggio?”

La prima alternativa è abolire i partiti:  bell’idea, intanto sono solo sacche di potere e gestiti da persone che si arricchiscono alle nostre spalle. Questa, in perfetta salsa populista e demagogica (devo stare attento che un Salvini o un Grillo qualunque non leggano, altrimenti prendono subito spunto!)  è una soluzione per abolire alla radice il finanziamento ai partiti. C’è un piccolo particolare:  i partiti sono fondamentali per la democrazia rappresentativa. Che piaccia o no, non c’è democrazia senza partiti, sono il sale su cui si fonda tutto un sistema fatto di libertà e partecipazione.  I partiti sono libere associazioni di cittadini, questo viene spesso dimenticato.  Siamo tutti concordi sulla necessità di una classe politica migliore, per competenze e moralità, ma pensare di spazzare via la democrazia per tornare alle tenebre del passato, oppure saltare nel burrone della democrazia diretta (dove l’autoritarismo è travestito da mouse del pc, e nella quale ogni decisione, senza alcuna discussione e approfondimento di idee, verrebbe presa con un click) non mi sembra la soluzione ideale.

Se invece  scegliamo di metterci, coraggiosamente, dalla parte della democrazia, l’unico sistema capace di sostituire il finanziamento pubblico è quello di permettere ai partiti un finanziamento esclusivo con denaro privato. Per farla breve: il sistema americano. I partiti, con il sistema Usa, passano da libere associazioni di cittadini – finanziate dai cittadini -, ad oppresse associazioni, manovrate  e incatenate alle volontà delle multinazionali, dell’alta finanza e del farraginoso sistema imprenditoriale. Non credo sia opportuno (s)vendere la nostra democrazia, e il nostro futuro, alle grandi banche, al sistema lobbistico internazionale, e in generale a chi se lo può permettere più di altri. Se già ora ci sembra di essere marionette gestite da poteri “superiori”, cosa può succedere se i partiti avranno come unica possibilità di sopravvivenza quella di chiedere soldi ai potenti privati? E’ la cura che peggiora la malattia, un frame già visto.

In conclusione, la terza e auspicabile alternativa. Dalle idee di illustri politologi come Pietro Ignazi ed Eugenio Pizzimenti, emerge la possibilità di un sistema basato su controllo, trasparenza e certezza del diritto. Seguendo questo schema, si può aprire al denaro privato ma è fondamentale che resti prioritario un finanziamento di tipo pubblico. Cioè un rimborso elettorale, da ridurre ancora, con un tetto massimo per ogni partito. Un rimborso che sia rintracciabile e trasparente, che sia veramente proporzionato alle spese che ogni partito effettua, ma soprattutto un rimborso calibrato sugli accertamenti di un organo terzo come la Corte dei conti. In aggiunta, per i partiti, l’accessibilità a questi soldi dovrebbe essere vincolata dalla presenza di uno statuto, vagliato dalla Corte costituzionale, che assicuri a livello normativo un utilizzo politico di questi denari, cioè un uso mirato, solo a favore di idee e progetti per i cittadini.

Insomma, sono necessarie leggi per controllare e responsabilizzare i partiti, ma le idee ci sono. Il finanziamento pubblico ai partiti non va abolito. Diffidate da chi insiste che l’unica soluzione sia la retorica antipartitica. Chi lo fa è appassionato di demagogia e non ha simpatie per democrazia e pluralismo.

L'autore
@VisentinAv
@VisentinAv

Studente di comunicazione, blogger, appassionato di politica, blucerchiato, sognatore, curioso, testardo. (e tanti altri difetti)

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