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Libri
25 Febbraio 2015
"Lettera a un bambino mai nato" - Oriana Fallaci

Gravidanza. Con questa parola voglio iniziare. Un insieme di lettere apparentemente quasi  insignificante in mezzo al grandissimo universo delle parole, ma se analizzata singolarmente ci possiamo rendere conto della grandezza del suo significato, racchiude in sé stessa il miracolo più grande che la natura possa compiere: la nascita. Si arriverebbe facilmente alla conclusione che l'argomento “gravidanza” porti grande gioia e felicità. Senza alcun dubbio. E pensare però che in mezzo a tutta questa allegria si nasconde spesso un grandissimo taboo; c'è sempre un filo di quell'immancabile imbarazzo quando si parla di gravidanza, c'è sempre quella paura di essere troppo indiscreti nell'affrontare il discorso, soprattutto perché l'argomento è spesso collegato al suo contrario più temuto: l'aborto. Ecco, se apparentemente l'annuncio di una gravidanza è la cosiddetta “buona novella”, per l'aborto non ci sono secondi significati: aborto significa gelo totale, mancanza di parole, condanna quasi certa senza pensare alle motivazioni.

Sono questi più o meno gli argomenti trattati in “Lettera a un bambino mai nato” scritto da Oriana Fallaci nel 1975. Parla di una donna apparentemente molto emancipata, che è stata abbandonata dal compagno appena rimasta incinta, e che cerca di non cedere agli stereotipi di una società maschilista: “[...] il nostro è un mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini, la loro dittatura è così antica che si estende perfino al linguaggio: si dice uomo per dire uomo e donna [...]” (pag.10), A parer mio  però cerca soltanto di autoconvincersi di questo, in quanto è lei in prima persona che si rivolge al proprio figlio con la parola “bambino” e non “bambina”, forse perché nonostante le sue continue lotte contro questa “dittatura linguistica degli uomini” non può fare nulla per cambiare la situazione e si lascia andare, quasi vinta dalla società.
È la storia di una donna che subisce un continuo tira e molla psicologico tra l'idea di abortire e l'idea di mettere al mondo il figlio, nonostante le grandi difficoltà e sofferenze che dovrà subire. Sebbene, dopo lunghi ripensamenti, si sia quasi convinta di volerlo far nascere, l'importanza del lavoro nella sua vita e, secondo me, anche la non totale convinzione di voler davvero il bambino, porteranno quest'ultimo a una progressiva morte: “[...] È arrivato il nostro momento bambino... Il momento di separarci [...]” (pag.92).

A parer mio nell'affrontare il tema dell'aborto è troppo difficile prendere una posizione precisa: ci sentiamo tutti immancabilmente dei giudici pronti a condannare scelte e comportamenti di queste terze persone che, con la speranza di trovare un consiglio più utile di altri o semplicemente un po' di conforto e comprensione, si imbattono nelle tipiche frasi fatte quali: “L'aborto è pur sempre una forma di omicidio... POTEVI PENSARCI PRIMA”, come se condannassero il fatto che un uomo e una donna si siano amati in un letto, come dice la Fallaci nel libro.

D'altro canto però l'aborto non deve assolutamente essere usato come una specie di “via d'uscita” perché come tutti sanno i mezzi per non rimanere incinta ci sono, ci sono eccome. Di questo infatti ne parla anche la Costituzione italiana in una parte dell'articolo 1 della legge numero 194 del 22 maggio 1978 che afferma : “[...]Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l'aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite.”. L'aborto, infatti, dovrebbe essere utilizzato come strumento di interruzione della gravidanza solamente quanto quest'ultima potrebbe compromettere la vita della madre o quando le condizioni di sopravvivenza del feto  sono veramente scarse e anche in questo caso non deve essere comunque la prima e l'unica via di salvezza. Anche per questo fatto vorrei citare nuovamente la Costituzione  che all'articolo 5 sempre alla legge numero 194 afferma : “[...] Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici,hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto. [...]”.

Purtroppo però questo universo resta e credo, se pur a malincuore, resterà per molto tempo troppo oscuro. Non importa quanta informazione ci sarà, quanto ne parleranno giornali e televisioni, sembra quasi che le persone si rendano sorde davanti ad argomenti come questo, magari meglio voltare la testa dalla parte opposta, chiudere gli occhi e far finta di nulla, così a farlo ristagnare nella sua negligenza.

 [...] L'unica cosa che ci unisce, mio caro, è un cordone ombelicale. E non siamo una coppia. Siamo un persecutore e un perseguitato. Tu al posto del persecutore e io al posto del perseguitato... Ti insinuasti in me come un ladro[...] Non vedo perché dovrei avere un bambino[...]”  (pag.57).

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L'autore
Giada Rustici
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