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Libri
26 Gennaio 2015
Ciò che inferno non è - Recensione

Eugenio Montale, in una celebre poesia, parlava di chi crede “che la realtà sia solo quella che si vede”. La realtà però, il più delle volte, non è soltanto quella immediata che riusciamo a percepire in un primo momento, ma c’è n’è anche un’altra, più nascosta, che difficilmente notiamo se non si osserva attentamente, ma ci si limita ad uno sguardo superficiale. Alessandro D’Avenia, con il suo nuovo romanzo, “Ciò che inferno non è”, ci svela proprio due volti di una stessa realtà, tanto luminoso l’uno, quanto oscuro l’altro.

Palermo, 1993. Brancaccio, 1993. Due luoghi diversi? Non proprio, poiché il secondo, in quanto quartiere cittadino, è inglobato nel primo. Due mondi diversi? Sicuramente. Da una parte c’è la città dabbene, la città ricca, ci sono i ragazzi che scorrazzano in bici per le strade pensando alla fine della scuola e alle vacanze imminenti. Dall’altra ci sono i malacarne, i bambini che vagano per le strade compiendo atti vandalici, le famiglie numerose che vivono in una stanza sola. Da una parte ci sono Federico- in trepida attesa di partire per una vacanza all’estero – il fratello Manfredi con la fidanzata Costanza, i loro amici benestanti con la casa al mare. Dall’altra ci sono Totò, Dario, Francesco – bambini formati dalla strada piuttosto che dalla scuola-, Maria, Lucia, Serena – persone che lottano non per vivere ma per sopravvivere ad un’altra giornata. Ma da questa parte ci sono anche Nuccio, Madre Natura, il Cacciatore. E questo fa la differenza. Semplicemente, da un alto c’è lo spazio per i sogni e per la speranza, mente dall’altro non c’è, non ci può essere. Non ci può essere perché a Brancaccio c’è la mafia. C’è l’inferno.  A Brancaccio, però, c’è anche 3P. Padre Pino Puglisi, con le sue scarpe grandi e il sorriso eternamente stampato sul volto, si batte ogni giorno affinché venga aperta una scuola media per poter togliere i bambini dalla strada, e intanto li accoglie nel centro Padre Nostro, sottraendoli alla violenza e regalando loro un po’di umanità. Durante l’estate del ’93, Don Pino, insegante di religione di Federico, gli chiede di dargli una mano. A diciassette anni, Federico scoprirà che ha sempre vissuto in un mondo paradisiaco e per certi versi falso. A poca distanza da casa sua c’è un’altra realtà che fino a quel momento aveva ignorato. Quando si arriva all’inferno, però, non si può più fare finta di niente, bisogna piuttosto darsi da fare e salvare dall’ inferno ciò che inferno non è. E questo si può fare solo grazie alla capacità di amare.

D’Avenia con questo romanzo ha reso omaggio alla memoria di Don Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993, ricordando così un uomo che ha dato tutto, fino all’ultimo, per portare un po’ di luce dove spadroneggiavano soltanto le tenebre. Arrivato all’ultima pagina del libro il lettore sente dentro di sé una strana sensazione, quasi un certo imbarazzo. Non si può leggere una storia del genere ed uscirne indenni. Qualcosa è cambiato, una barriera è stata abbattutta: è caduto finalmente il muro dell’indifferenza.

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