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13 Febbraio 2015
Quanto è stato bello trovarti, Italia

Non è nessuna novità, nessun segreto, sono argentina e nel mio DNA sta definito così: Mi piace parlare. Non è semplicemente 
un qualcosa che mi piace, è molto di più, è una necessità, non c’è niente di più piacevole che potere essere per ore guardando negli occhi delle persone mentre si parla di cose infinite;
 niente che mi riempie di più che conoscere attraverso del suono dei suoi parole, i suoi gesti y quell piccolo informatore che anche se lo vogliamo controllare (e a volte anche pensamo di farlo),
 finisce per dire tutta la verità: Lo sguardo.

Un'altra cosa che non è nessuna novità ne nessun segreto è che in dieci anni che ho visutto nella Spagna mai mi sono sentita
 spagnola, ne di Madrid anche se forse el mio accento non dice lo stesso; non ho nulla contro il paese, contro la sua capitale,
 la sua gente... Ma non è mià e io non sono sua. Non mi piace quando mi chiamano spagnola, non sono spagnola, non interessa per quanti anni hai visutto in un posto, sarai di dove senti che sei, e nel mio caso, sento che sono di tutto e niente allo stesso tempo. Non ho mai creduto in paesi, nazioni, bandiere, ma non si può negare che la geografia fa tanto alla personalità e, ogni giorno sono più convinta di questo, il sangue è troppo forte. 

Erano le piccole cose quelle che mi creavano incertezza prima di arrivare in Italia, fare la spesa, aspettare il pullman
 (cosa che poi ho capitto, può essere da vero lungo)... E ora sono ancora le piccole cose quelle che marcano la differenza tra le persone, i paesi. Quelle piccole cose che ti fanno sentire la mancanza di un posto, sono quelle piccole cose che ti fanno innamorare di un posto, trovare un nuovo amico... Sono tante e piccole che insieme creano una palla gigante di differenze. C'è un libro di Hernán Casciari, "Spagna hai perso" (España perdiste) in cui, attraverso tutte quelle piccole cose disegna l'immagine di due paesi (Spagna e Argentina) cosi diversi e simile, di come, anche se hanno la stessa lingua, lo stesso aspetto (molto più atrattiva quella argentina, certo), le cose del giorno per giorno sono così diverse: come si vive una partita di calcio, avere un kiosko proprio nell'angolo della tua strada, la amicizia... Creando persone in aspetto uguali ma in esenzia così diverse.

Allora, credo che in questo libro manca un capitolo, quello di “vederci per parlare”. Un qualcosa che ricordo con tanta gioia
 e nostalgia della mia infanzia, tutte quelle ore nella terrazza della mia casa chiacchierando con la mia famiglia, i parchi pienni di gente conoscendosi con un bell mate tra le mani, gli infinite conversazioni nella cuccina, salone, ovunque con le quattro persone più importante della mia vita: i miei e miei fratelli. Quel parlare per parlare. Un qualcosa che, senza dubbi, in Spagna non esiste e no, non voglio ne ammetto rimproveri perche no, non esiste. In Spagna esiste la cultura di "ci prendiamo qualcosa da bere e ormai che siamo insieme, parliamo". Non è lo stesso, la raggione, la causa dell'incontro non è la stessa e quindi nemmeno il proprio incontro lo sarà. Non chiedete a uno spagnolo per la sua famiglia, per come l'è andata a la sua sorella nei esami della settimana scorsa, ti guardara stanno e di sicuro pensa che stai facendo troppo domande. Lo spagnolo parla di cose personali, intime, "importante" quando c'è qualcosa che non va, quando ha un problema; e se può rimanere nella superficie, molto meglio, non sia che l'interlocutore si annoia.

Sempre mi hanno detto di avere una buona memoria, ma credo non sia del tutto vero, mi ricordo di ogni dettaglio?
 Conversazione? Annedoto? Si, ma non è semplicemente per una cosa di memoria, è interesse, è che veramente mi interessa
 quando qualcuno mi racconta che se n’è andato in Sicilia e li è sembrata bellissima la porta blu di una casa vicina a una chiesa.

E cosa voglio dire con tutto questo? Voglio dire che il sangue è troppo forte. Tanto è così che migliaia di immigranti italiani
 si lo son portato con loro a Argentina, lasciandolo lì per tanto tempo che lo abbiamo fatto nostro e, dopo migliorarlo un po', abbiamo capitto che per sempre ci sarà un fratello più grnde che venire a trovare nel sud della Europa. È così forte che ora, dopo dieci anni, finalmente trovo della gente che ti chaiam e ti dice "Come stai? Cosa fai?Ti va di vederci per parlare un po'?" Scendi, vai alla piazza e sai che? Parli. Senza bisogno di una birra o delle pipas di girasole, senza nessuna distrazione, senza nient'altro che delle persone conoscendose. Dimostrando che veramente si interesano l'uno per l'altro, per quello che c'è nella testa del amico, e che anche vogliono che l'altro sappia cosa passa per la sua testa.


Ore, ore conoscendoci e lasciandosi conoscere, ore in un atto di pienna fiducia in se stessi e nel’altro. Ore con il silenzio delle strade
 (qualche motorino o signora buttando dell’acque alle due di mattino per il balcone) e il dolce sono della nudirà di un persona verso il suono delle sue parole, i suoi gesti e, quell piccolo informatore, che anche se lo controlli, sempre finisce per dire tuta la verità: Lo sguardo.

 

 

Foto scattata da Angelo Mazzitelli

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L'autore
Natalia Irina Crea
Natalia Irina Crea

Giornalista argentina nata nell´unico anno palindromo del secolo scorso. Italiana di sangue, salernitana di cuore. Dopo laurearmi in Spagna mi sono andata a esplorare Londra e ancora non ho finito.

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