VOLUNTEER EXPO. Uno slogan, una missione. A Milano è quasi impossibile non farci caso: le metropolitane, i mezzi pubblici e gli edifici del centro sono stati tappezzati dai manifesti per la campagna che pubblicizza il volontariato durante Expo 2015. Per tutti gli altri italiani, i manifesti sono stati compensati con dei banner pubblicitari su Youtube, Facebook e numerosi altri siti. Il tipo di immagini e di parole utilizzate per questa campagna rende subito chiaro il target a cui è rivolta: giovani, in particolare studenti universitari. Ma non solo, perché lo spot del volunteer expo lascia intendere che anche i pensionati siano i benvenuti. L’uso (massiccio, oserei dire) dei volontari nei grandi eventi di questa risma non è certo una novità. Per fare degli esempi concreti nostrani, il Meeting CL di Rimini ha impegnato a titolo volontario circa 3000 ragazzi, il Festival del Giornalismo di Perugia tra i 200 e i 300 ogni anno, come anche è tipico negli eventi relativamente più contenuti: dal Bookcity di Milano, al Festival della Letteratura di Mantova, senza dimenticare, per restare più sul locale, la Festa dell’Opera di Brescia. Il caso più eclatante a livello mondiale è stato quello delle Olimpiadi di Londra nel 2012, con oltre 70.000 volontari.
E per l’Expo 2015? Si parla di circa 18.500 volontari, con turni di varia durata, il più breve dei quali è di 15 giorni e il più lungo è di 12 mesi. Ma l’Expo non doveva creare lavoro? Uno specchietto per le allodole c’è, a dire la verità. La sezione Lavora con noi (e poi, perché mettono sempre con? Rende il lavoro più comunitario e idealizzato? Un più veritiero per non farebbe scandalo) si apre con una sferzata di ottimismo: Coltiva la tua personalità, condividi i tuoi interessi, diventa protagonista di Expo Milano 2015, l’evento che per 184 giorni catalizzerà l’attenzione del mondo su Milano e sull’Italia. Un evento che è anche un’opportunità di crescita professionale e di formazione. Expo Milano 2015 vuole entrare in contatto con talenti dalle spiccate capacità di innovazione, creatività e adattamento, che condividano i valori che hanno permesso il successo della nostra candidatura. Lavorare per Expo significa entrare a far parte di una squadra composta da professionisti e manager con esperienza nazionale e internazionale, che affrontano tutti la stessa sfida: creare valore per la nostra comunità, il nostro sistema Paese e per l’intero Pianeta. Bellissimo, no? Poi si scopre che i dipendenti totali, in confronto ai 18.500 volontari, saranno all’incirca 1100, di cui per la maggior parte si tratta di apprendistati (la forma più raffinata di precariato, come non dimenticano mai di ricordarci) e stage retribuiti con 1 euro all’ora, come stabilito da un accordo tra Camera di Commercio e Politecnico di Milano.
Torniamo al discorso del volontariato. Lo spot per lanciare la campagna meriterebbe un’analisi a sé stante, perché in 1 minuto esatto riesce a scattare una fotografia piuttosto chiara dell’attuale mercificazione dei più giovani. È il classico video con immagini in sequenza veloce e frenetica, che dovrebbero dare al futuro volontario un’idea delle meraviglie che lo attendono (ed entrano in gioco anche i pensionati, che a quanto pare hanno la speranza di riciclarsi mangiando sushi). Si sottolineano i probabili incontri amorosi, i tanti “mi piace” che si avranno, le innumerevoli selfie nelle quali si verrà taggati. Perché, se proprio non devo ricevere un riconoscimento per il mio servizio, almeno entrerò nel vero social network dell’anno. E il video si conclude con la scritta: “E potrai fare tutto questo per davvero!”, mentre io mi immaginavo un: “E potrai fare tutto questo gratis (per noi!)”. @Noexpo2015 ha scritto: “Perché lavorare gratis per un evento che costa miliardi di euro di soldi pubblici?”.
La risposta è arrivata da Stefano Tabò, presidente del Coordinamento Nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato: “Non risulta che in termini di occupazione il volontariato abbia mai sottratto posti di lavoro (ma sicuramente non ne ha creati). Il moto iniziale che ha spinto il protocollo non è quello del semplice risparmio economico, ma il riconoscimento che la qualità dell’accoglienza si arricchisce della presenza di persone che non sono solo lavoratori pagati, ma anche volontari”. Quest’ultima affermazione è opinabile e parlo da studentessa universitaria che in più occasioni ha lavorato a titolo volontario per eventi di questo genere. In genere il volontario riceve almeno un rimborso per il viaggio o per l’alloggio (giustamente) e questo quasi totale esonero dalle spese spesso crea una dannosa equiparazione tra il concetto di volontariato e quello di vacanza spesata. Se è vero che retribuire 18.500 lavoratori è complicato e dispendioso, è anche vero che più di 500 volontari al giorno (questi i numeri previsti) sembrano un eccesso che si potrebbe notevolmente ridimensionare con dei criteri di selezione dei candidati più rigorosi ed esigenti, in modo da avere, ipoteticamente, 100 volontari ogni giorno seriamente competenti e non 500 troppo impegnati nelle selfie o negli hashtag. Ridurre sensibilmente il numero dei volontari (che comunque, pur non essendo pagati, non sono gratuiti) e aumentare le assunzioni, magari.