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Politica
05 Maggio 2015
Il destino oscuro delle riforme costituzionali

La posizione della questione di fiducia sull'Italicum e la conseguente approvazione della nuova legge elettorale che entrerà in vigore il primo gennaio 2016, ha generato una lacerazione all'interno del PD ormai irreversibile. Civati pare essere ad un passo dall'addio, ipotesi invece scartata a più riprese dagli altri leader delle varie correnti minoritarie.

Nondimeno si dicono tutti pronti a dare battaglia sui disegni di legge che nel prossimo futuro verranno sottoposti alla delibera delle Camere. La riforma dell'istruzione e della pubblica amministrazione sono in cima all'agenda del Governo. Due temi caldi, cari all'elettorato Dem che, fino ad ora, era composto in prevalenza da impiegati pubblici e pensionati. In effetti nel Pd è in corso una mutazione genetica, fortemente voluta dal Presidente del Consiglio quanto avversata dalle minoranze che sono evidentemente più legate alle posizioni tradizionali della sinistra italiana (e dunque all'elettorato tradizionale di cui sopra). Su queste riforme, dunque, è già stato annunciato in maniera non troppo velata un terribile Vietnam parlamentare. 

Ma nei piani del governo c'è una riforma ben più importante, di portata storica addirittura. Si tratta della riforma costituzionale. Una riforma tanto radicale non è mai stata approvata in Italia. Si giunge ad intaccare persino l'elemento chiave della nostra forma di governo, cioè il rapporto di fiducia che lega l'Esecutivo al Parlamento. Se passasse la riforma in questione, infatti, il rapporto di fiducia non coinvolgerebbe più entrambe le Camere, ma solo la Camera dei Deputati. 

La riforma incide inoltre sulla rappresentatività del Senato, che diverrebbe esponenziale degli enti locali e non dei cittadini; sull'attuale assetto dei rapporti Stato-regioni; sulle modalità di elezione degli organi di garanzia costituzionale come il Presidente della Repubblica e i giudici della Corte Costituzionale. Insomma, la riforma è veramente ampia. 

Ma riuscirà a passare? La riforma è stata licenziata dal Senato l'8 agosto 2014, quindi è stata incardinata alla Camera e poi licenziata il 5 marzo 2015. Il punto è che all'assemblea di Montecitorio sono stati approvati degli emendamenti che hanno modificato l'iniziale formulazione della legge. Questo comporta la navette: gli stessi emendamenti devono tornare al Senato per essere approvati anche in quella sede, visto che un disegno di legge deve essere approvato nello stesso testo da entrambe le Camere. E questo è un primo ostacolo: la maggioranza al Senato è risicata. Per altro le minoranze Dem sono più rappresentate a Palazzo Madama, avendo dunque un peso politico maggiore. 

Tuttavia non è finita qui. L'articolo 138 della Costituzione dispone un iter aggravato per le leggi costituzionali e di revisione costituzionale: devono essere approvate con due successive deliberazioni di entrambe le camere, e alla seconda votazione devono passare a maggioranza assoluta (piuttosto che a maggioranza semplice come tutti gli altri disegni di legge). 

Già non è detto che si riesca a concludere pacificamente la prima lettura, visto che il Senato potrebbe non approvare gli emendamenti votati a maggioranza dalla Camera. Se poi pensiamo alla seconda necessaria delibera, per cui è richiesta la maggioranza assoluta, allora le cose appaiono ancor più complicate. 

Il Pd è solo. Non può più contare su Forza Italia. Per altro è frammentato al suo interno, anche grazie all'approvazione dell'Italicum che ha esacerbato gli animi delle minoranze. L'approvazione non è per nulla scontata dunque, e qualora la riforma costituzionale dovesse passare ci sarebbe senza ombra di dubbio la possibilità per le minoranze di proporre un referendum costituzionale (concesso dall'art 138 della Costituzione solo se in seconda lettura la legge non viene approvata con una maggioranza dei due terzi da entrambe le camere, maggioranza ad oggi oggettivamente irraggiungibile). Se il referendum costituzionale proposto non dà esito positivo, la legge costituzionale o di revisione costituzionale non viene promulgata.

Se la legge di revisione costituzionale non venisse approvata sarebbe un disastro. L'Italicum, infatti, è intrecciato alle riforme costituzionali. Non a caso si prevede l'applicabilità della nuova legge elettorale solo per la Camera dei Deputati (visto che il Senato diverrebbe organo ad elezione indiretta se la riforma costituzionale venisse approvata). Per lo stesso motivo si prevede che l'Italicum entri in vigore a partire dal 2016, sperando che per quella data la riforma costituzionale venga promulgata. 

Cosa accadrebbe se non venisse approvata la riforma costituzionale? L'Italicum entrerebbe in vigore solo per la Camera dei Deputati, mentre il Senato continuerebbe ad essere elettivo ed eletto in base all'attuale Consultellum. Addio quindi alla tanto sperata certezza della governabilità. Le maggioranze sarebbero diverse nelle due Camere, molto più diverse di quanto lo siano ora. Basti pensare che alla Camera dei Deputati una singola lista otterrebbe il 54% mentre al Senato i seggi verrebbero ripartiti con un sistema proporzionale quasi puro, per cui nessun partito riuscirebbe a raggiungere da solo la maggioranza assoluta a Palazzo Madama. 

Certo, sarebbe veramente divertente vedere come si riuscirebbe a formare un Governo. L'Italia è da sempre stata campionessa dell'ingegneria politica, creando dei fenomeni particolari come i "Governi balneari" ed i "Governi della non-sfiducia". Renzi ha inventato il "Governo a maggioranza variabile", contando fino a poco fa su almeno due maggioranze diverse a seconda del ddl da votare. Tutte cose che farebbero inceppare il cervello di qualsiasi tedesco o qualsiasi inglese, se gliele spiegassimo.

Nel caso di specie, sarebbe necessario inventarsi una coalizione (un'odiata ammucchiata), nonostante il premio di maggioranza alla Camera.

Ma più verosimilmente, qualora le riforme costituzionali dovessero affondare, il Governo inizierebbe a pensare ad una nuova legge elettorale per il Senato.

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L'autore
Ruggero  Pupo
Ruggero Pupo

Sono uno studente di giurisprudenza, appassionato di politica e filosofia.

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